
Amici
Gli amici di una donna che ha abortito a volte trovano
difficile capire i suoi comportamenti successivi. A volte l'amica si chiude in sè o assume
comportamenti a rischio che prima non erano presenti.
Altre volte
lo stress dell'episodio di gravidanza-aborto non salva il rapporto tra
fidanzati ma porta invece ad una chiusura di quella relazione. In tali
casi c'è un impatto su tutto un circolo di persone.
Se un amico
ha in qualche modo incoraggiato o agevolato la decisione di abortire, può portarsi dietro un fardello
di preoccupazioni per la sua amica nei mesi e negli anni successivi.
Testimonianze:
Riflessione di Emma:
"Trent'anni
fa a Firenze. Ero una giovinotta, appassionata di cose più
grandi di me: la morale, la religione, l'urgenza di dedicare la vita
agli altri, agli ultimi. ... Con grandi aspettative sulla vita e sulle
possibilità di cambiare il mondo, piccola matricola, mi ritrovai
in un appartamento di studentesse più grandi che discutevano su
[un medico che praticava gli aborti clandestini]. Un impatto durissimo.
Ricordo una ragazzina, ancora più sprovveduta di me che
scoppiò in lacrime davanti a un bambolottino di plastica che
saltò fuori da un sacchetto di patatine.
Voleva abortire. Mi
guardava e mi chiedeva aiuto. Aveva paura ad andare da quel dottore
lì. Era sola, completamente sola, come nella vita si è
sempre nei momenti decisivi, ma una solitudine che diventa
insopportabile quando si è tanto piccoli e indifesi, lei come il
suo piccolino (si era accorta della gravidanza al quinto mese). Le
stetti accanto, vicina. La sua paura di quel medico le impediva di
ascoltare qualsiasi mio discorso sul bambino." (Lettera a "Il Foglio" , pubblicata in "Aborto? No grazie", Volume Terzo, 2008, p. 289-290)

Riflessione di Paolo, un uomo che ha aiutato una sua amica ad abortire:
"Era l'otto marzo, giorno che qualcuno osa chiamare Festa della Donna.
Trovatemene una, di donna, che sia contenta di essere festeggiata
così. Comunque, era l'otto marzo ed io accompagnai un'amica ad
abortire.
Non ero io il padre. Avrei voluto, ma non lo ero. Se mai avessi potuto
esserlo, la questione non si sarebbe nemmeno posta. Purtroppo il padre
era un uomo molto più grande di lei, e lei aveva ventisette
anni. Era successo un pasticcio. Lui se ne lavava le mani. Lei era
terrorizzata. Aveva paura della propria famiglia, ricca, potente, piena
di pregiudizi. Io ero il suo migliore amico e le volevo molto bene. Lei
lo disse solo a me. Poi lo disse a sua madre, che ebbe una crisi. Poi
alla sorella che le rispose: "Ti aiuto". Non avevo mai frequentato una
ragazza così bella e così sola. Mi fissava con occhi
aquamarina, opachi d'angoscia. "Che cosa faccio?" mi chiedeva.
Insieme a lei, all'ospedale, c'eravamo solo sua sorella ed io. Muti. Io guardavo una fila di ragazze quasi tutte dell'hinterland,
alcune giovanissime, che chiacchieravano fra loro, in apparenza senza
pensieri. C'erano più silenzio e concentrazione nella sala
d'aspetto del mio dentista. "Ma come - pensavo - non sono disperate?".
Non so se lo fossero. La mia amica era apatica. Fece una strana battuta
di spirito, che mi sembrò fuori luogo, e glielo dissi. Lei mi
guardò in silenzio, gli occhi duri. Eravamo entrambi sotto stress.
Per giorni avevamo parlato del bambino. Lei non lo chiamava "il feto" o
"l'embrione". Anzi, usava un termine che qui non riesco a
ripetere, perché era un nomignolo affettuoso, che si riserva a
una essere vivente a cui già si vuole molto bene. E che mi
commuoveva. Avevo la testa piena di tesi politicamente corrette. Una in
particolare: "La scelta, in questi casi, spetta alla donna". Che
è una tesi abbastanza comoda, per un maschio. E di questa tesi
mi feci scudo. "Qualunque cosa tu decida - le dissi - ti starò
vicino. Ma non ti dico che cosa fare".
Lei elaborò una serie di ipotesi, anche estreme. Una, che mi
sembrò surreale, era che il bambino lo riconoscessi io. Per la
famiglia di lei un padre come me avrebbe avuto un senso, quello vero
no. E un padre ignoto sarebbe stato una vergogna. Che ingenui eravamo,
avevamo davvero paura di queste cose. Ci pensavo giorno e notte. Mi
prese perfino una strana euforia. Mi pareva di perdere la ragione.
Avrebbe mai potuto reggere una menzogna così colossale? Ma c'era
di mezzo quel bambino, e il modo che lei aveva di chiamarlo. Entrambi
lo sentivamo come una cosa viva. Per un paio di settimane non pensammo
ad altro. Poi le ripetei che le sarei stato vicino, ma che il padre
doveva rimanere anonimo.
E lei decise di perdere il bambino.
Hanno ragione le femministe (e non solo loro), quando dicono che il
maschio è pusillanime. Io lo fui. Le restai vicino, ma non
abbastanza. E vigliacco mi sentivo in quell'otto marzo ancora
caliginoso, sul limitare della primavera, a metà degli anni
novanta, mentre lasciavo l'ospedale.
Siamo rimasti amici, ma c'era quell'ombra, fra noi. Poi ci siamo persi
di vista. Non so che cosa darei per sapere come sta, oggi, quella
ragazza di allora. Per sapere se ha avuto altri figli. In cuor mio
glielo auguro." (Lettera a "Il Foglio" 13 marzo 2008)
Giorgio racconta la testimonianza
di un suo amico americano che, solo anni dopo,
vedendo suo figlio non ancora nata sullo schermo dell'ecografia,
ha ripensato all'aiuto dato, anni prima, ad una amica:
"Alicia era una ragazza portoricana di New York e aveva quindici anni.
Piangeva mentre mi confidava che era incinta. A scuola si era sempre
molto impegnata per esser tra le migliori; i suoi insegnanti sapevano
che il suo sogno era quello di rompere il circolo vizioso di
povertà e miseria del quartiere in cui aveva visto vivere
familiari e amiche, molte delle quali già giovani madri sole.
Che cosa avrebbe dovuto fare? Che cosa avrebbe potuto fare?
Fui sorpreso dalla velocità del mio consiglio e, mentre
accompagnavo Alicia e il suo ragazzo alla clinica, pensavo di essere
stato d'aiuto e nel giusto.
Molto tempo dopo, nella camera di un ambulatiorio, osservavo lo schermo
di un visore, mentre un tecnico passava uno strumento sul ventre
rigonfio di mia moglie. Si vedevano delle linee nebulose che indicavano
le forme del nostro primo figlio. Era un feto di due mesi, ma
innegabilmente un essere umano con le sue piccole gambe e mani, con le
cavità degli occhi ben evidenti. Il mio pensiero andò ad
Alicia e non fui più sicuro d'averla veramente aiutata.
Che alternative le avevo proposto? Aiuto? Adozione? Come era il suo
feto? Come questo? Che ne era di lei? L'aborto aveva cambiato la sua
vita? No, non avrei più potuto dare consigli così sicuri,
mi fosse capitato un altro caso come quello. La mia posizione
sull'aborto si è lentamente staccata da ogni certezza e ha
navigato in alto mare sino a quando mi sono convinto che in ogni aborto
sono protagonisti sempre due vite e che una non debba necessariamente
escludere l'altra". (Lettera a "Il Foglio" 03 aprile 2008)
La
seguente lettera è stata scritta il 14 marzo 1999 da un'amica
del padre di
una bambina abortita, durante un ritiro della Vigna di
Rachele:
Carissima, piccola Zoe,
Precisamente quattro anni e un mese fa ho saputo della tua breve
vita e della tua morte prematura. Oggi ho l'onore e il privilegio di
darti il benvenuto nella
famiglia umana che non hai mai conosciuto.
Io e tuo padre eravamo amici durante i suoi studi per il dottorato.
Quando lui e tua mamma hanno saputo del tuo arrivo, invece della gioia e del riso,
hanno
sperimentato
paura e lacrime . Si sono rivolti agli amici e anche
ai professori cercando un consiglio ed un aiuto. Purtroppo quelle
persone non potevano immaginare come fare spazio per te nel loro mondo.
Dicevano che non era il tempo giusto, che i tuoi genitori un giorno
avrebbero potuto avere un altro figlio, etc... Tu sai meglio di
me tutto ciò che hanno detto e ciò che hanno taciuto. Mi
sembra, però, che nessuno abbia mai detto che anche se non sei
stata "programmata," anche se sei arrivata con un po' di
sorpresa, tu eri un dono! E che Dio aveva sicuramente una missione
per la tua vita!
Siccome io non sapevo della tua esistenza fino a dopo la tua morte, non
saprò mai se io avrei avuto il coraggio di alzare la voce
per te, cercando di salvarti. Posso solo sperare di sì.
Guarda, eravamo tutti persone impegnate con la Chiesa, ma la nostra
comunità non ti ha dato il benvenuto, tu, uno dei più
piccoli e più preziosi doni di Dio. Tutti quelli che hanno dato
il
loro consiglio si credevano persone "aperte" all'accoglienza che ci
insegna Gesù, ma quando Dio ti ha voluto mettere in quella
comunità, rimasero invece intrappolati in una visione stretta e
chiusa, e non sono riusciti a vederti come uno fra i figli di Dio.
Tuttavia, carissima Zoe, tu fosti preziosa. Tu SEI preziosa! Dio aveva
un progetto per la tua vita. Non sei stata
semplicemente un "errore", come tanti ti avranno chiamato. Ma, questo
fatto della tua preziosità, il tuo papà lo ha sentito e
lo ha scoperto solo quando tu non c'eri più.
Non è stato permesso che venisse conosciuto il tuo scopo in
questo mondo terreno. Tuttavia il tuo scopo nel
programma misericordioso di Dio è bello e importante. Per mezzo delle
tue preghiere amorevoli aiuterai la tua mamma e il tuo
papà a ritrovare il cammino che conduce verso Dio. Non
smettere di pregare per loro, per favore! So che tuo padre si
è pentito per ciò che ha fatto. Infatti, dice che
è stato lui a scegliere di abortirti, non è stata la tua
mamma. Lei, infatti, soffre tanto da quel giorno, il giorno in cui
hanno tolto la tua vita. Lui l'ha scelto, e lei, stanchissima di
lottare, si è arresa a quella scelta con una profonda tristezza.
In questi giorni in cui ci avviciniamo alla Settimana Santa, aiutali ad
unire le loro sofferenze a quelle di Gesù nella Sua
Passione. E fai che loro vengano a sperimentare la Sua
Risurrezione per mezzo della gioia dolorosa del pentimento.
Il tuo nome, Zoe Christina, significa in greco "vita in Cristo,"
perchè è quella vita che ora stai godendo per tutta
l'eternità. Ho fiducia che un giorno incontrerai di nuovo i tuoi
genitori sotto la protezione della Misericordia di Dio Padre nostro, e
sotto il riparo protettivo della Madonna, Madre di Misericordia.
Lì inviterai tua madre e tuo padre ad unirsi a te nel tuo
ballo leggero e lieto, la danza di gioia che tu balli davanti al trono
del Re e della Regina dei Cieli. (Sai, infatti, che i tuoi
genitori erano tutti e due ballerini??!!) E lo stesso Dio che ti ha
regalato la vita farà che il loro lutto diventi un ballo di
gioia!
Prega per noi, piccola Zoe. Insieme a Maria e tutti i santi , prega per noi adesso e nell'ora della nostra morte.
Tu sicuramente non hai dimenticato noi, e noi mai ti dimenticheremo.
Con tanto amore dalla tua "zia"
Monika
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A volte l'esperienza di un aborto può creare intense emozioni che forse non potete gestire adeguatamente da soli.
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